Luca Flores – Innocence (2019)

Quando si nomina Luca Flores il pensiero va immediatamente al libro di Walter Veltroni “Il disco del mondo” (Rizzoli 2003), e all’omonimo dvd curato con Roberto Malfatto in allegato; quando non direttamente a “Piano, solo”, film di Riccardo Milani uscito nel 2007 e interpretato da Kim Rossi Stuart, tratto proprio da quel testo. Alcuni potrebbero poi aver letto “Angela, angelo, angelo mio, io non sapevo” (Stampa Alternativa 2007) di Francesca De Carolis, basato sul racconto dell’ultima compagna, Michelle Bobko, e anch’esso corredato da un Cd, che documenta un concerto live della stessa Bobko, il 13 maggio del 2004 a Cavriglia, intitolato “Omaggio a Luca Flores”.

È di questi giorni però l’uscita di un terzo libro, semplicemente “Luca Flores” (Terre Sommerse 2020), che contiene nella didascalia il suo manifesto programmatico: l’autore, Luigi Bozzolan, anch’egli musicista, vuole parlare di Flores come “uomo, musicista, artista”. E finalmente, verrebbe da dire. Senza nulla togliere alla vicenda umana, che tanto dolore ha portato alla e nella vita di questo sfortunato esponente della scena jazzistica italiana, cui va tutto il nostro rispetto e la nostra partecipazione emotiva, era tempo che ci si occupasse anche e soprattutto della sua musica, nonché dell’arte in generale di questo pianista e compositore, oltre che disegnatore e poeta.

Il merito di Bozzolan, inoltre, è duplice: da una parte le sue ricerche hanno condotto alla realizzazione di questo lodevole libro, dall’altra a Stefano Lugli, sound engineer dell’ultimo album di Flores, “For those I never knew”, il quale ristrutturando il suo studio, il Planet Sound a Firenze, ha riportato alla luce materiale inedito, in buona parte rimasto fuori proprio dalla compilazione di quel progetto discografico e che ora è stato pubblicato dall’etichetta Auand.

Ci riferiamo ai sedici brani, tutti in piano solo, registrati in varie sedute, durante un concerto privato presso Villa Le Balze a Fiesole il 10 giugno 1994, ma soprattutto al Planet Sound, rispettivamente, nelle date del 1° e 15 luglio 1994, del 26 settembre dello stesso anno e del 19 marzo 1995, che, grazie anche al mastering, nel 2018, di Alessandro Galati – non a caso pure lui valente pianista e compositore – e alla produzione di Paolo Flores, fratello di Luca, e produzione esecutiva di Marco Valente, titolare dell’Auand, sono nel 2019 sfociati in “Innocence”, doppio Cd che ha fatto rivivere il meraviglioso pianoforte di Luca Flores in tutta la sua solitudine – positiva e negativa – ma anche in tutta la sua magnificenza e floridità.

La genesi di questi pezzi e l’intenzione finale circa la loro pubblicazione è raccontata nel libretto interno, a noi resta – e non è affatto poco – la musica. Si comincia con Strictly Confidential di Bud Powell, pianista molto affine, sia musicalmente sia umanamente, al nostro: un brano affrontato in maniera sfavillante, con un approccio bebop straordinario e un gran bel gusto estetico. Roba rara – non me ne vogliano – per molti pianisti jazz italiani, spesso più concentrati su introspezione ed emotività che su fraseggio e linguaggio.

Broken Wing/Lush Life è un mix di due composizioni, rispettivamente di Richard Beirach e Billy Strayhorn, interpretate con piglio avviluppante e avvincente, nonché, specie nella prima parte, con l’ausilio – volontario o involontario, poco importa – di alcuni suoni della natura circostante in sottofondo: l’idea originale, si legge nel booklet, era dedicare un disco all’infanzia trascorsa in Mozambico, ma qui sembra più che la Villa dove venne inciso il medley fosse immersa nel verde; a ogni modo, tutto ciò ci fa entrare ancora di più nel frastagliato universo del pianista e della sua musica, quasi stessimo lì con lui mentre suona, cogita su quel che suona, ergo vive.

Blues dello stesso Flores è un florilegio di soluzioni ritmico-armoniche che hanno come input la struttura e la dialettica del blues, ma poi spaziano verso l’iperuranio, o mondo delle idee, più sofisticato e accattivante. Dopo Powell è il turno di confrontarsi con altri due mostri sacri, Thelonious Monk in Work e Charlie Parker in Donna Lee, e ancora una volta il nostro vincerebbe a mani basse, anzi sulla tastiera, la sfida con eventuali omologhi jazz americani. Per tecnica, espressività, eloquenza e fluidità. A tratti è davvero inarrestabile, e che floridezza di idee. Un reale immenso piacere poterlo ascoltare dissertare.

Si continua con un paio di originali, Search for the Silver Lining, che parafrasa “Look for the Silver Lining” di Jerome Kern, presente fra l’altro nel Cd 2, e Kaleidoscopic Beams, cui si può ascoltare Flores anche alla voce. Il primo è un pezzo increspato e complesso sotto la sua sospesa calma apparente, l’altro una ballad raffinata ed esoterica, con un testo (ri)scritto ad hoc per questa versione dallo stesso autore. Evocativa, magica, poesia pura.

La facciata B – chiamiamola così – del progetto si apre con Ladder, ovvero "How Far Can You Fly", sempre di Luca Flores, pezzo meditativo sì, ma intriso pure di grande passionalità, cui segue But Not for Me di George Gershwin, scoppiettante e anch’esso molto boppistico nella sua reticolare articolazione. Intenso e carismatico il flusso di coscienza che caratterizza sia Coincidenze #1 sia Coincidenze #2, entrambi di Flores, con in mezzo Max 2 Supersoul di Fabio Turchetti, compositore e cantautore cremonese del quale negli ultimi tempi il nostro ebbe modo di incidere alcuni brani, fra cui questa versione che brilla per briosità e spirito incantatorio, e il già citato Look for the Silver Lining di Kern, in una trasposizione delicata e affabulatoria, da ascoltarsi per ore.

Infine, le ultime tre perle di questo doppio Cd: Leaving di Richard Beirach, My Ideal di Leo Robin, e Silent Brother, intrecciata con "Lullaby", anch’essa scritta da Flores, per la figlia del fratello Paolo. Se le prime due rappresentano un altro paio di begli esempi di introspezione meditativa mista a tecnica ed espressività grandiose, la ninna-nanna per la nipote e il brano al “fratello silenzioso” – non si sa bene se riferito a sé stesso o al produttore del duplice disco in oggetto – sono uno squarcio dentro la familiare quotidianità della vita umana e artistica di questo eccezionale pianista, che da una parte fa tenerezza, dall’altra ricorda, con un po’ di tristezza, ciò che abbiamo perso, seppur, grazie alla sua musica altresì persa e ora ritrovata, fortunatamente non del tutto.

Marco Maimeri

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