Dave Brubeck – Lullabies (2020)

Un disco per grandi e piccini. Questa l’intenzione di Dave Brubeck alla soglia dei 90. Il suo ultimo album in studio e il suo ultimo in assoluto, uscito postumo a otto anni dalla morte, avvenuta un paio d’anni dopo questa registrazione, nel 2012.

L’intento era realizzare un progetto che mettesse in comunicazione, e sullo stesso piano dialettico e dilettevole, famiglie e bambini. Per questo, il repertorio varia da canzoni per l’infanzia a standard e originali dello stesso pianista americano, qui impegnato allo strumento solista. Per la Verve, poi, etichetta storica cui si deve la pubblicazione dell’album, è stato anche un modo per far riscoprire, conoscere ex novo e di certo apprezzare, un’icona della musica del Novecento, non solo jazz, dallo stile inconfondibile, a beneficio di nonni, padri, madri e figli-nipoti, che cullati come bambini dalle note e dalle melodie familiari e non di questo disco, potranno sicuramente divertirsi e addentrarsi insieme nel fantastico mondo sonoro di Dave Brubeck.

 

Ad aprire le danze, e non solo l’ascolto, è una delle ninne nanne – appunto “Lullabies” come recita il titolo del progetto – più conosciute e utilizzate dalle mamme e dai papà per addormentare i propri pargoli, la Brahms Lullaby, qui riproposta, sia in apertura sia in chiusura, Brahms Lullaby (Reprise), con una leggiadria e raffinatezza uniche, una molteplicità di colori che si rincorrono e sembrano proprio danzare insieme, sulle ali della notte e del primo sonno.

 

Il tema dell’addormentamento, stavolta nel sud degli Stati Uniti anni Trenta, torna nel seguente When It’s Sleepy Time Down South, brano reso celebre soprattutto da Louis Armstrong. Suono pieno e avvolgente di piano, con la mano sinistra, e grappoli di note frizzanti e fascianti, con la destra, che mostrano, se ancora ce ne fosse bisogno, la straordinaria abilità di Brubeck di trattare e reinterpretare gli standard mediando fra senso nero del blues e tocco armonico bianco.

 

Un’esplorazione che continua in Over The Rainbow, evocativa e magica come non mai: sembra proprio di seguire passo-passo le evoluzioni di Dorothy/Judy Garland, protagonista de “Il Mago di Oz”, film da cui è tratto il brano. E che dire di Danny Boy? Un canto di speranza – anche questo per un futuro migliore – che trova concretezza e determinazione in un pianoforte radioso e avviluppante.

 

È tempo però di andare (di nuovo) a letto, con Going To Sleep, lasciarsi abbracciare e ninnare da un Morfeo sotto forma di blocchi di note, ascendenti e discendenti, che come banchi di pesci dalle scintillanti policromie salgono e risalgono il fluido torrente musicale creato da Brubeck.

 

Non c’è posto migliore poi della propria casa, There’s No Place Like Home, sempre dalla pellicola “Il Mago di Oz”, per riposare e riposarsi, ed ecco quindi che il tema di questo standard, e la rilettura che ne fa qui Dave, ci riportano, come per magia, al calduccio domestico del focolare familiare. Famiglia citata espressamente in Lullaby For Iola, con dedica alla moglie, ninna-ballad tenera e ardimentosa nel suo dipanarsi, come peculiare dei racconti in musica del pianista americano.

 

Koto Song, altra sua composizione, rende omaggio al koto giapponese, una cetra a tredici corde a forma convessa, con rara delicatezza e beltà, grazie a una sonorità eterea e nebulosa, resa perfettamente dal piano, ma anche all’intelligenza dell’autore che, basandosi su un pattern melodico discendente ripetuto, figlio spurio della scala pentatonica, non fa altro che sviluppare una melodia da ninna-nanna tradizionale nipponica sulle armonie di una struttura blues di 12 battute in minore. Creatività e lirismo allo stato puro.

 

A seguire, All Through The Night di Cole Porter, affrontato con solennità e candore, Softly, William, Softly, originale riflettente ed espressivo, A Dream Is A Wish Your Heart Makes, sognante e speranzoso: in fondo, come diceva Cenerentola proprio in questa canzone, “i sogni son desideri / di felicità”, e Brubeck lo ribadisce con grande fermezza e tutta la propria arte di divulgatore-divagatore pianistico.

 

Infine, gli ultimi tre brani dell’album, prima della Brahms Lullaby (Reprise): un Briar Bush incisivo e determinato, con accordi roboanti e splendenti (c'è poca improvvisazione in questo disco, soprattutto note e accordi “strani”, inusitati, esplorativi, volti a ribadire e imporre, anche a tali lullabies, il proprio stile e timbro personalissimi), uno Sleep più cupo e riflessivo, e un Summertime che ormai non appartiene più a George Gershwin e al suo “Porgy and Bess”, ma è diventata una ninna-nanna universale, per tutti i bambini che in virtù dell’avere un dad rich, padre ricco, e una mother good lookin', mamma di bell’aspetto, devono far silenzio, smettere di piangere e addormentarsi, riletta qui da Brubeck alla sua maniera, con tutta la poesia di cui è, è stato e sempre sarà, capace. Ora, però, buonanotte e buon riposo anche a te, RIP Dave.

 

 

Marco Maimeri

Commenti

Post popolari in questo blog

Pablo Corradini Quintet - Alma de Viejo (2018)

Luca Flores – Innocence (2019)

Chihiro Yamanaka - Monk Studies (2017)

Zavalloni-Fresu-Arcelli-Rubino-Bardoscia-Quartetto Alborada – popOFF! (2021)

Charlie Ballantine – Reflections/Introspection: The Music of Thelonious Monk (2021)

Enrico Rava – Edizione Speciale (2021)