Andrea Pagani – You must believe in strings (2023)

Se il secondo album è sempre più difficile nella carriera di un artista, il primo con gli archi non è da meno. Ma diciamolo subito: il pianista Andrea Pagani se la cava alla grande. Anche perché non sta esattamente al secondo album.

Questo è il suo ottavo disco da solista: una summa di composizioni proprie, intense e “cantabili” (per dirla à la Petrucciani), suonate perlopiù in trio con Daniele Basirico a contrabbasso o basso elettrico e Massimiliano De Lucia alla batteria; arricchite dall’accompagnamento di una sezione archi arrangiata e diretta da Marcello Sirignano, presente anche al violino, e da prestigiosi ospiti solisti quali Juan Carlos Albelo Zamora a violino e armonica, Piercarlo Salvia al sax tenore, Flavinho Vargas Dos Santos a bongos e percussioni, Mimma Pisto alla voce, Alessandra D’Andrea al flauto e Fabio Cuozzo alle percussioni sinfoniche; nonché – e non è di poco conto per un progetto with strings – registrate meravigliosamente (un plauso va – come ricorda lo stesso Pagani nel libretto interno - a Eugenio Feliziani per registrazione e mixaggio). 

A emergere è una scrittura molto francese, europea, cinematografica. Sorta di “colonna sonora della mia vita”, l’ha definita l’autore. Con tracce di Gato Barbieri, complice l’armonica e le percussioni (A tear on my chest) o il sax (Nick’s dreams). E una predisposizione verso le sonorità calde e avvolgenti del latin jazz orchestrale più glamour; con citazioni tanguere frammiste a derive manouche-musette, grazie al violino di Albelo Zamora, su Cristal.
 
56 mois à croisset con Sirignano al violino, La passeggiata con Pisto alla voce a mo’ di strumento a fiato, e Meditazione con percussioni, flauto e il leader anche alla kalimba, riportano ad atmosfere maggiormente meditative e sofisticate. Così come l’evocativo e quasi sacrale Sad walk in Rome, splendido affresco di una Capitale poetica, che si dipana e si mostra sempre più combattuta tra la maestà del Colosseo e la santità del Cupolone.
 
Lullaby for the sea è un valzerino delicato, cullato da armonica, archi e flauto, e sorretto da piano, basso e batteria; mentre Occhi verdi, unico brano senza ospiti, vede il trio del leader intrecciare timide occhiate e sguardi timorosi con gli archi, in un turbinio di caleidoscopiche emozioni, concretizzate poi negli eloquenti assoli di piano e contrabbasso. When my dog’s dreaming, infine, chiude il disco con la giusta dose di oniricità e calore, grazie al sax di Salvia.

Marco Maimeri

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