Zavalloni-Fresu-Arcelli-Rubino-Bardoscia-Quartetto Alborada – popOFF! (2021)

In Italia due sono le manifestazioni canore imprescindibili: il Festival di Sanremo e lo Zecchino d’Oro. Se per il primo Pippo Baudo e Pippo Caruso coniarono lo slogan-canzone “Perché Sanremo è Sanremo”, sostituito negli ultimi anni da “Tutti cantano Sanremo”, lo Zecchino d’Oro non ha mai avuto slogan ma tante bellissime canzoni, che hanno portato comunque molte persone a desiderare di “cantare lo Zecchino”.

Una di queste è Cristina Zavalloni, interprete jazz e di musica colta contemporanea, ma anche “figlia d’arte”, dato che suo padre Paolo Zavalloni - alias Zavallone - è stato direttore musicale dell’Antoniano di Bologna dal 1989 al 2003. Quando Paolo Fresu, trombettista eclettico e grande organizzatore di progetti discografici e non, le ha proposto di rivisitare in chiave jazz alcune canzoni dello Zecchino d’Oro, la mitica manifestazione canora di bambini famosa in tutto il mondo, per omaggiare Bologna che lo aveva accolto fin dagli anni ’80 e che nel 2017 gli aveva conferito il prestigioso Nettuno d’Oro, e dove dal 2010, insieme alla moglie Sonia Peana, violinista e fondatrice del Quartetto d’archi Alborada, cura il progetto “Nidi di Note”, volto a far scoccare fin dalla tenera età la scintilla per e l’interesse e la passione verso la musica, lei ovviamente ha accettato con entusiasmo.

 

E così hanno fatto pure gli altri musicisti di questo album, pubblicato lo scorso ottobre per la Tǔk Music, etichetta dello stesso Fresu, prima uscita della nuova sezione Tǔk Kids dedicata all’infanzia. La formazione è completata quindi da Cristiano Arcelli a sax soprano, clarinetto basso, flauto e melodica, Dino Rubino a pianoforte e philicorda, Marco Bardoscia al contrabbasso, il Quartetto Alborada, con gli archi appunto di Anton Berovski e Sonia Peana al violino, Nico Ciricugno alla viola e Piero Salvatori al violoncello, nonché da Luca Devito, factotum della Tǔk, al flauto ne Il valzer del moscerino.

 

Gli arrangiamenti dei vari Arcelli, Bardoscia, Rubino, Fresu e Zavalloni hanno inteso dare nuova veste a brani celeberrimi come Il valzer del moscerino, Volevo un gatto nero, La giostra del carillon, Il katalicammello, Non lo faccio più e Popoff; Lettera a Pinocchio; Ninna nanna del chicco di caffè e Il caffè della Peppina; Quarantaquattro gatti e Il pulcino ballerino; e Il pinguino Belisario. Tutti riletti, da una parte mantenendo levità, brio e purezza delle canzoni per bambini, dall’altra arricchendo tale universo sonoro con rigore armonico e raffinatezze melodiche da jazz, musica d’autore e classica contemporanea.

 

Quarantaquattro gatti (Intro) ne è un perfetto esempio. Il pianoforte di Rubino è qui profuso della stessa austerità di un preludio e, come ogni preludio che si rispetti, è seguito da una fuga, o meglio, in questo caso, da un valzer, Il valzer del moscerino, un (tr)avvolgente 3/4 caratterizzato tanto dall’ovattato ottone di Fresu e dalla melliflua voce della Zavalloni, quanto dal soave flauto di Devito e da un meraviglioso tappeto d’archi, che dona una colorata atmosfera straussiana.

 

Ninna nanna del chicco di caffè sembra invece uscita da una partitura di musica da film guizzante ed estrosa, con begli interventi di flicorno e piano, oltre a effetti vari. Cadenzato e “speziato”, come è giusto che sia, Il caffè della Peppina, da cafè chantant partenopeo, con un assolo vibrante di Fresu alla tromba e un ricercato ricamo solistico di Rubino.

 

Altrettanto narrativo l'adattamento di Volevo un gatto nero, con continui dialoghi fra archi e ritmica, con ottone e voce che “giocano a gatto e topo” e il piano che si ritaglia un solo frastagliato. Il pulcino ballerino, dove il pianista si sdoppia suonando anche il philicorda, un organo elettrico, ha un andamento sghembo e brioso come il protagonista della canzone, là circondato dall’affetto del pollaio, qua da fiati, tastiere, basso e archi parimenti espansivi.

 

Cinematografica La giostra del carillon, una favola sonora fasciante ed evocativa come la tromba di Fresu. Mediorientale Il katalicammello, dove la Zavalloni gioca nuovamente con la voce, incarnando alla perfezione la divertente dicotomia, alla base di tale progetto, fra musica – chiamiamola così – alta (jazz, classica, contemporanea, musica d’autore) e bassa (musica popolare, canzoni per bambini), grazie all’interpretazione di testi “frivoli” con la giusta “serietà”, e un eloquio impostato e “serioso” da racconto musical-attoriale à la Peppe Servillo, o ancor meglio da “mamma che fa le voci”, quale in effetti la Zavalloni, leggendo anche il libretto interno, parrebbe essere o comunque essere stata negli anni di crescita e favole della figlia.

 

Poetica e sognante Lettera a Pinocchio, che gode di un arrangiamento arioso e fluttuante, opera del contrabbassista Bardoscia, valorizzato perfettamente dalle improvvisazioni di Rubino e Fresu. Non lo faccio più ha un afflato orchestrale che “cozza meravigliosamente” col testo enunciante tutte le marachelle per cui il protagonista chiede scusa alla madre. Avvincenti gli assoli di piano e tromba effettata.

 

Il pinguino Belisario, adattato dalla Zavalloni, si basa su continui scambi danzanti fra voce, fiati e ritmica, mentre il racconto in musica di Quarantaquattro gatti, delicato e carezzevole, si dipana tra pianoforte, archi e contrabbasso. Popoff, infine, ha un imprinting decisamente sovietico, marziale e trascinante, per poi rimanere appeso e aprirsi come un fiore durante l’improvvisazione di Fresu, impreziosita da squisiti interventi contrappuntistici di Rubino.

 

Non è dato sapere se davvero “Tutti cantano (e suonano) lo Zecchino” – i protagonisti di questo progetto lo fanno e lo fanno bene, in maniera molto simpatica e jazzisticamente dissacratoria – ma sicuramente “lo Zecchino è lo Zecchino”, anche quando in chiave jazz.

 

 

Marco Maimeri

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